Un rimprovero che mio marito mi fa spesso, Mentre ti parlo ti guardi intorno. È fastidioso sostiene, e anche maleducato.
Dice che lo faccio al ristorante, al bar, fermi nell’attesa di un bus. E non si spiega che cosa ci sia di tanto interessante da osservare, tutt’intorno e oltre il discorso che stiamo facendo.

La realtà ci parla - Chiara Lico

Molto vero, penso, mentre  – sempre meno – tento di giustificarmi, consapevole di non poter fare a meno di quel gesto inconsapevolmente spontaneo e di cui mi rendo conto solo quando me lo fa notare lui. Mi viene in mente che “nessun uomo è un’isola”, ma penso anche che mi piace vincere facile (tanto più che le citazioni le odio).

Poi mi succede un fatto, e mi convinco che non sono io che mi distraggo ma è la realtà che mi viene addosso per prendersi il suo spazio. E che quando questo accade un motivo c’è sempre. E me ne convinco dopo essere incappata per l’ennesima volta in questa deviazione dello sguardo da un discorso che era come tanti.

L’interlocutore questa volta non era mio marito, ma un amico. Siamo a Pomigliano d’Arco, da pochi minuti ho salutato i ragazzi di quattro classi della scuola media che hanno letto Il Rischio.

Incontro con l’autore, lo chiamano, e lo vivono con enfasi, perché qualcuno porta qualcosa lì, a loro, a domicilio. Seduti a un bar davanti a un aperitivo ricco – anche troppo – io e il mio amico commentiamo proprio quella realtà: poco svago, tanto rischio, troppi locali ma zero biblioteche… Di gente ne scorre tanta accanto a noi. Siamo sul corso, mi spiega il mio interlocutore all’ennesima sua alzata di mano rivolta a conoscenti o amici. Io invece impeccabile.

Sguardo su sguardo, non incappo nella mia solita maleducazione. (Certo, la mano sulla testa dei miei figli non ce la metterei).

Ma mi illudo di essere educata.
Fino a un certo punto.

La realtà ci parla

Fino a quando, cioè, i miei occhi se ne vanno di lato anche se la mia bocca a parlare rivolgendosi al mio amico. E vedo lui, un uomo di forse cinquant’anni, ben messo no e neanche troppo in salute. In un attimo colgo il suo sguardo che non è per me e non è per il mio amico. Un’intuizione più che una certezza. Ma mentre le parole continuano a scorrere e l’uomo rischia di superarci e andare oltre, io mi convinco di un’occhiata, più che di uno sguardo.

Quell’uomo aveva osservato il piattino con rustici e pizzette con gli occhi di chi ha fame. E me ne convinco talmente tanto che afferro il piattino, interrompo il mio amico e gli chiedo: hai qualcosa in contrario? Non si era accorto di nulla, non l’aveva visto lui, era concentrato a parlare, giustamente, non a farsi i fatti degli altri. Ma concorda subito, ed è lui a chiamare l’uomo. Che si gira, torna verso di noi, prende il piatto e ringraziandoci “infinitamente” si siede al tavolo accanto al nostro.
Quando se ne va mi accorgo che zoppica e che gli mancano anche i denti davanti perché mi sorride, per ringraziarmi ancora.
Dunque.

Io non lo so, oggi davvero non lo so, se è maleducazione oppure no guardarsi intorno fugacemente mentre qualcuno ti parla. Istintivamente direi di sì, perché l’espressione “guardare qualcuno negli occhi” ha sempre ragione di essere. Ma poi ci sono le sfumature. Perché anche la realtà che abbiamo intorno chiede di essere colta nel momento in cui ci si manifesta e vuol essere guardata negli occhi perché un attimo dopo può essere tardi.

Annusare l’aria che tira e forse, sì, fare i giornalisti anche quando stai in relax, significa proprio questo: non mollare la presa su quel che ci circonda, non distrarci, non lasciare nulla al caso. Alzare l’orecchio e l’attenzione perché il quotidiano parla in sottofondo, è un brusio, il suo. E in questi tempi di crisi ancora di più: perché i drammi vengono raccontati anche attraverso sguardi fugaci di miserie quotidiane. Ma bisogna intercettarli, perché uno sguardo che grida Ho fame richiede il dovere di essere intercettato. Anche a costo di essere maleducati perché si volge lo sguardo da un’altra parte. Che però è quella giusta.

Categoria: I miei post

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