Non le manca niente, un bel seno, belle spalle, nasino che tutte vorrebbero e capelli curati, bocca carnosa, perfetta. Insomma ha quello che conta. E quello che conta è quello che voleva. Quello che tutte vogliono.

Chiude il giornale d’istinto, è stufa di vedersi rispettosamente osannata per meriti non suoi. E neanche fa più il discorso che un cervello ce l’ha, che aspettano a scoprirlo. Perché a ben guardare chissenefrega del cervello, non gliene è mai fregato neanche a lei, non vede perché dovrebbe fregare agli altri.

Va davanti allo specchio, ma sta troppo in alto per lei, e riesce a malapena a vedersi gli occhi. Ecco, inquadratura perfetta: solo gli occhi. Che strano scherzo del destino. Sono passati quattro anni. Ma il tempo, per un momento troppo scivoloso anche per essere fermato, la riporta indietro.

Guarda i suoi occhi e li rivede come quel giorno, che si chiedeva perché, come è possibile, lo specchietto retrovisore dovrebbe farti vedere la strada, le macchine che arrivano e non i tuoi occhi.

Li richiude di scatto ma quel rumore assordante ritorna e ritornano i vetri in faccia e il dolore che non c’è subito no, che arriva dopo, arriva forte insieme alle forze che non ci sono per uscire da quella gabbia di ferro.

Due ore così e le mani bloccate, ma il sangue gocciola e se lo ricorda sulle braccia, caldo, troppo caldo. Ricorda tutto e anche quel senso di impotenza e d’attesa finché qualcuno che non sa l’ha tirata fuori dalle lamiere, così hanno detto, estratta dalle lamiere.

Bel viso, oggi, bello. C’ha trovato pure lavoro con questo viso e non un lavoro qualsiasi. La modella la vogliono fare tutte, tutte.
E magari si fanno cure e si modellano, spendono soldi e fatica.
Di che si deve lamentare lei, che i soldi per rifarle una faccia che non c’aveva più un filo di pelle e le ossa fracassate dalla prima all’ultima li ha spesi tutti l’assicurazione.
Di niente, non si lamenta di niente.

È solo che ci sono momenti in cui resta sola, proprio sola, e le viene da ripensare a sua madre, a quante gliene aveva dette per averle regalato quell’acne fastidiosa, che era la prima cosa che tutti vedevano, lei se ne rendeva conto, la gente le parlava ma mica la guardava negli occhi, fissava le guance, poi magari si vergognava, ma era troppo tardi, lei se n’era accorta.

Quei momenti sono come oggi, che è strano a dirsi e a capirsi, ma tutto gira, gira e gira e l’unica cosa che vorrebbe è quell’acne, veramente sua.

Categoria: Racconto Breve

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