Sì, mi infastidisco, non lo posso negare. È una questione di precisione, di metodo, di risultati. E ogni volta che non va come deve, vado in bestia come pochi al mondo. Tra l’altro, qua dentro sto pure scomodo.
D’accordo, che cosa c’entro io, può capitare, non bisogna farne un affare di stato e via dicendo con tutte queste chiacchiere. Lo so, lo so, è tutto vero. Il fatto è che a me nessuno ci pensa. Io dovevo andare da un’altra parte e invece ecco che vado a finire nel punto sbagliato al momento sbagliato e mi ritrovo con un sacco di sensi di colpa e di responsabilità. Oltre che con un senso di frustrazione personale senza limiti.
A volte ci penso proprio a questa cosa che faccio, a questa cosa che sono.
Ho sentito dire che come la giri la giri qualcosa di positivo non lo farò mai. Sarà pur vero, ma domando: ho colpe, io?
E poi non ci voglio stare qui, conficcato nel muro. Durerà poco, lo so. Fra un po’ quelli della balistica mi tireranno fuori e mi faranno l’autopsia, cioè, mi rigireranno come un calzino e cercheranno di sapere a quanto viaggiavo e dove ero diretto.
Mi sarebbe piaciuto da morire, per un po’ di tempo in vita mia, essere nel cuore di qualcuno: giusto per qualche ora, non ho mai chiesto tanto.
Anche perché dopo un po’ ti tirano fuori e ti analizzano, cercano di capire tutto di te e non è che sia facile sopportare che a un certo punto ti tolgono da dove tutto sommato stai bene.
Voglio dire, il senso della mia vita alla fin fine è questo: ti fabbricano, ti confezionano, ti fanno aspettare un sacco di tempo, tu sogni il momento tuo, e poi un attimo e tutto finisce. E l’unica cosa che ti resta da sperare è che non usino il silenziatore, almeno fai una fine in grande, con un rumore infernale che fa girare tutti e polvere e sangue in ogni angolo.
E invece va a finire che ti succede quello che è successo a me. Che mi dispiace anche. Sì, certo, anche per me. Ma non solo. Mica per niente, vaglielo a spiegare che la testa che avevano scelto per me era di quello che giocava al primo videopoker e non al secondo. Doveva essere un regolamento di conti. E invece porca miseria quel poveraccio che c’ha pure due figli piccoli si va a trovare sulla linea di fuoco sbagliata.
E intanto io sto qui, stanco morto perché sono partito con talmente tanta enfasi che gli sono entrato nel collo e gli sono uscito dall’altro orecchio.
E poi il rumore infernale delle sirene, no, no, portatemi via di qui. Che strano il mondo visto da qui, incastrato in un pezzo di muro che mi tiene stretto e pare non mi voglia più lasciar andare.
Ah, eccolo, va’, eccolo che s’avvicina, si ferma, si mette il guanto. Le dita che s’avvicinano e io nella sua mano. Ed è un attimo, dentro una bustina di cellofan di nuovo, solo pochi secondi di libertà.
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